Polvere di stelle

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Polvere di stelle รจ narrata con accompagnamento al piano.

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L’uomo imponente guidava il passo nel sottobosco. Le mani spingevano avanti, il petto si gonfiava, le spalle maestose si allargavano. Come nuotando, si tuffava nel varco e ricominciava. Uno stivale affondò nel fango con il rumore delle onde.

Mentre preparava un’altra bracciata, dita affusolate lo raggiunsero dal lato del grande bastone, facendolo voltare. «Aspetta» sussurrò la ragazza d’ebano.

«Non possiamo…»

«Continuate» li esortò invece la figura sottile che chiudeva la fila. Il cappotto Chesterfield con il bavero alzato e gli occhiali di corno accentuavano la sua eleganza.

Davanti a lui veniva la bambina, che aveva sfiorato una foglia coriacea per guardare la rugiada disegnare tempeste impazzite fra le nervature.

Si udì in quel momento un rimbombo, i tronchi vibrarono. I quattro avventurieri si strinsero finché non si placò, poi l’uomo imponente disse: «Si avvicina.»

«I suoni sono mutevoli, qui» rispose l’uomo nel lungo cappotto, e ripeté: «Continuate.»

Ripresero la marcia nella galleria di felci e rampicanti, mentre la ragazza d’ebano diceva: «Anche gli spazi mutano. È questa foresta. Mi sembra di esserci intrappolata da una vita.»

«Finché avremo energia» disse l’uomo imponente con voce arrochita.

«Finché avremo cuore» mormorò la bambina, sollevando un braccio per raddrizzare il maglione che le scendeva fino alle dita. Fra i capelli, quando la notte era ancora lontana, aveva infilato un fiore rosso e violetto.

Ma ora faticavano a vedere a un palmo di naso, i passi erano incerti e le teste pesanti. I rami intrecciati tagliavano il respiro, l’ombra che li braccava inzuppava lo spirito.

L’uomo imponente nuotava.

L’uomo nel lungo cappotto volgeva lo sguardo a brevi intervalli, sfiorando prima la tesa del cilindro, poi la schiena della bambina, che danzava sulle impronte degli stivali per non perdere la via.

Le tenebre si rincorrevano, a tratti echeggiava quel sordo rimbombo.

Concentrata nel suo balletto, la bambina finì contro la schiena della ragazza d’ebano, mordendosi la lingua.

«Hey! Perché ti sei fer…» protestò, ma s’interruppe anziché finire.

La ragazza guardava in alto, con gli occhi di spuma marina sgranati e perduti in un vuoto liquido. Chiudeva il pugno sui suoi capelli di nuvole, facendoli scoppiare e sbuffare.

Allora la bambina la strinse forte alla vita, scaldandole la pelle d’oca e spiegazzandole il vestito di chiffon, mentre gli altri seguivano il suo sguardo. Una folata scivolò in quell’istante tra fronde e liane, ritagliando uno spiraglio di cielo. La luna piena brillava sulla tela blu oltreoceano e negli occhi della ragazza dai capelli di nuvole.

L’abbraccio l’aiutò a tornare presente.

«Un ultimo sforzo» disse l’uomo nel lungo cappotto, mentre l’uomo imponente procedeva ad ampie bracciate, aiutandosi adesso anche con il bastone per affrontare il sottobosco.

Gli stivali lasciavano solchi intimi, sollevavano frammenti di terriccio. Corsero per l’ultimo tratto, in equilibrio precario attraverso il passaggio che si chiudeva, diventava sfibrante, soffocava ogni passo… finché gli alberi s’interruppero d’un tratto.

Sciolta la presa sul terreno, aprivano il paesaggio alla sfera lunare e a volti sgomenti. Davanti ai quattro avventurieri, nello spazio di pochi balzi, s’era sciolta una lingua d’erba, una crosta di roccia e, subito oltre, il dirupo.

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Là, dove gli alberi morivano, la terra era spaccata. Il canyon si allungava in entrambe le direzioni fino all’orizzonte; era antico come la foresta, un vicino sconosciuto. Alla luce della luna saliva dal corridoio di roccia una pallida foschia.

«Non si scorge il fondo» disse l’uomo nel lungo cappotto, sporgendosi dal ciglio. «E l’altro lato neppure.»

«È più in alto» disse la ragazza dai capelli di nuvole.

«Che cosa vedi?»

«Solo questo.»

Ma l’uomo imponente, che non smarriva mai lo sguardo, disse: «Venite, ho trovato una strada!»

E corse a lunghe falcate verso il dirupo, dove un ponte maestoso si stagliava nella notte: faceva addirittura apparire piccolo l’uomo imponente, mentre affrontava gagliardo i primi gradini di pietra che ascendevano all’ignoto.

Il vento accarezzava i piedritti intonando languidi cigolii, come note di organo. L’uomo imponente si bloccò e strinse forte il bastone nella mano callosa. Volevano chiedergli la ragione, quando l’organo stonò in un boato violento come un pugno allo stomaco.

«Vieni giù!» urlò la bambina.

Non ce n’era bisogno, perché l’uomo imponente era già indietreggiato, di ritorno sulla roccia.

L’uomo nel lungo cappotto lo raggiunse per primo e gli posò una mano sulla spalla in un gesto d’affetto. «Da qui vi guido io» disse, e superò il compagno avvicinandosi al ciglio.

Il ponte correva ora come un fuso sottile in lieve salita, sorretto da un arco d’acciaio slanciato all’insù.

«È sbagliato» disse la ragazza d’ebano, facendo sbuffare a più non posso i suoi capelli di nuvole. «Come faremo con il vento, senza paratie?»

«È solo una carezza» la tranquillizzò lui, incamminandosi per dare l’esempio con le mani infilate nelle tasche del cappotto.

Attesero a fiato trattenuto che impegnasse il primo passo, poi il secondo. Non accadde nulla. Stavano per seguirlo quando un turbine si sollevò, disperdendo la foschia. L’uomo ebbe solo il tempo di sgranare gli occhi per la sorpresa; poi perse l’equilibrio e cadde.

Troppo lontani, gli altri urlarono. Si era gonfiata una tempesta intorno al ponte, e videro solo dopo un istante che l’uomo era riuscito ad aggrapparsi con le dita di una mano all’orlo della passerella. L’altra mano era corsa ad afferrare il cilindro volato via dai capelli spruzzati di bianco; un rotolo di pergamena chiuso da un sigillo si era sfilato dal cappello e si era perso nel dirupo.

L’uomo imponente tentò di lanciarsi in soccorso e le ragazze lo fermarono, una per lato. Avrebbe potuto liberarsi di loro senza sforzo, ma rimase immobile quando l’uomo nel cappotto che si era aperto lo guardò, scuotendo la testa.

Strinse meglio la presa sul ponte, oscillò un poco; poi, con un volteggio, fu di nuovo in salvo. Corse da loro calcandosi il cilindro sulla testa, mentre il vento infuriava.

La ragazza d’ebano si lamentava, premendosi i palmi sulle orecchie e sulla testa – pareva lo sfiatatoio di un vulcano.

«Non ne posso più» gemette, e li spinse a indietreggiare con un solo gesto ondeggiante, mentre si mordeva le labbra di corallo e i suoi occhi guizzavano. I piedi nudi disegnavano cerchi sull’erba bagnata.

Ma d’un tratto le rughe si distesero sul suo volto, la ragazza sospirò e si avvicinò al ciglio. Danzando nel vestito di chiffon color acquamarina, spostò le braccia a sinistra e poi le mosse insieme verso destra, come se stesse spalancando una porta.

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Il vento calò di botto, la foschia s’infittì. La ragazza dai capelli di nuvole rideva e saltellava eccitata: davanti a lei, enormi bolle di sapone fluttuavano nell’aria a diverse altezze, inseguendosi verso l’altro lato del dirupo. Ognuna rifletteva un luccichio di luce lunare.

Stava già prendendo la rincorsa quando l’uomo nel lungo cappotto l’afferrò per il colletto e disse: «Non ci pensare nemmeno.»

«Ehi! Tu ci hai provato!»

«Ha ragione, sai» intervenne l’uomo imponente, accarezzandosi la barba. «Forse possono reggere te, ma su gli altri avrei qualche dubbio – e me no di certo.»

La ragazza sgranò gli occhi segnati dall’ombretto scuro, come ferita senza motivo. Poi il suo volto s’indurì e la voce uscì aspra: «Oh, capisco. Non diamo retta alla matta.»

«Non prenderla sul personale…»

«È sempre stato personale! E non fare l’accondiscendente! Il tuo ponte così grandioso te le ha cantate a meraviglia!»

«Adesso smettetela!»

Si voltarono verso la bambina, sull’attenti nel suo maglione di lana intrecciata che le cadeva asimmetrico sulle spalle esili. Proprio in quel momento, dagli alberi giunse di nuovo il sordo brontolio.

L’uomo imponente la guardò con gentilezza, allargando le braccia: «Dobbiamo pur trovare una soluzione a questo problema, non credi?»

«E volete farlo litigando? Di nuovo?»

«Noi non litighiamo» precisò l’uomo nel lungo cappotto, «discutiamo e cerchiamo un compromesso.»

«Parla per te» disse la ragazza dai capelli di nuvole.

La bambina scosse la testa: «Sono grande abbastanza per capire cos’è un compromesso, ma lo sentite quel ringhio? Sarà qui presto. Se solo…»

«Ci stiamo provando, ok?» disse la ragazza. Era sconfortata.

L’uomo nel lungo cappotto agitò la mano nell’aria: «Questo non ha importanza ora. Riprendiamo da quello che abbiamo, volete?»

«Che cos’abbiamo?» replicò l’uomo imponente. «Non abbiamo una via pulita e non possiamo costruirla. Almeno il mio ponte aveva le paratie: attraversiamolo insieme e…»

«Non salirò su quell’orrore neanche sotto tortura» dichiarò la ragazza d’ebano.

«Senza offesa» aggiunse l’uomo nel lungo cappotto, «e se non fosse solido come sembra?»

E giù a gridarsi contro in un litigio furioso.

La bambina rimase a guardarli ancora un istante, finché non udì di nuovo il rimbombo. Gli altri non l’avevano nemmeno notato. Allora strinse i piccoli pugni sulle maniche e marciò verso il ciglio del burrone.

Le bolle di sapone oscillavano ancora sopra il crepaccio. Le guardò corrucciata, poi tentò di scorgere qualcosa dall’altro lato, ma la notte e la foschia erano fitte. Decise di sedersi. Intrecciò le mani intorno alle ginocchia, sciolse i muscoli del viso e chiuse gli occhi, ascoltando.

Dapprincipio i litiganti coprivano ogni altro suono. Quando le loro voci si confusero, vennero le parole della foresta, le melodie dei fiori e i racconti degli alberi, il sospiro della brezza. Tutto la sfiorò, passò poco a poco. Infine, ogni rumore tacque e vi fu silenzio: allora la bambina spalancò gli occhi.

Davanti a lei c’era un ponticello sospeso di assi e di fune. Dondolava placido, perdendosi nella foschia. Le corde inchiodate nella roccia s’erano infiacchite, e la stretta passerella formava una borsa al centro.

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La bambina si alzò, pulendosi i jeans sulle natiche. Si avvicinò esitante al ponte, allungò una mano.

Una folata improvvisa corse attraverso il dirupo e la voce dell’uomo imponente rintoccò: «Isabel!»

La bambina si voltò a guardarli mentre correvano da lei. Vide il loro terrore e non li ascoltò; tornò invece a guardare fissò davanti a sé, lungo il ponte sospeso. Trattenendo il fiato, afferrò la fune.

Il vento morì, perfino gli alberi tacquero. Gli avventurieri si bloccarono dietro alla bambina, ora vicini ma troppo storditi per raggiungerla. Lei strinse le labbra, sciolse le spalle e mosse il primo passo.

Quando la sua mano scivolò sulla corda, un lieve bagliore ne scaturì e una melodia lontana. Fu come sfiorare uno strato di polvere vecchio di secoli. La luce corse fra le sue dita e le solleticò la pelle, le danzò lungo il braccio fino al fiore tropicale che portava fra i capelli.

La bambina inspirò a fondo e strinse l’altra mano sulla fune opposta. Crebbe un soffio di bufera ma tutt’intorno a lei, la sollevò sulla punta dei piedi mentre la luce calda correva lungo le corde, attraverso la terra spaccata, su fino al lato opposto della prospettiva. Ora due scie luminose fendevano la bruma, unendo le coste del crepaccio.

«Isabel…»

La bambina si voltò, lasciando la presa sulle corde e rimanendo lì, all’inizio del ponte sospeso.

La ragazza dai capelli di nuvole la raggiunse, strinse le mani con le sue e disse: «L’hai trovato.»

«Io… credo di sì.»

I due uomini giunsero esitanti, mentre il cupo rimbombo risuonò di nuovo dalla foresta. L’uomo nel lungo cappotto s’inginocchiò di fronte alla bambina: «Ti dobbiamo delle scuse. Abbiamo perduto il punto di vista.»

La bambina scosse la testa, alzò lo sguardo sugli alberi da cui erano giunti e lo volse di nuovo oltre l’orizzonte. A quel gesto l’uomo imponente, in un tono riverente che mai gli si era udito, disse: «Hai ragione: ora andiamo.»

E gonfiò il petto, preparandosi a passare in testa; ma la bambina si aggrappò al suo braccio solido come un tronco, lo indusse a fermarsi e scosse di nuovo la testa.

Altre parole non servirono. Sotto gli sguardi solenni degli altri avventurieri, la bambina posò di nuovo i palmi sulle funi e le scie di luce tornarono a risplendere, più intense che mai. Lei continuò a procedere sicura anche quando gli altri, presi da mille dubbi, allungarono i primi passi sul ponte sospeso e, vedendo che li reggeva, la seguirono in silenzio.

Nelle notti di luna arde l’essenza che c’illumina la strada: e così Isabel guidò Arte, Progetto e Ambizione verso la terra oltre il crepaccio.

In un soffio di brezza, svanirono nella foschia.